Inflazione: speculazione alimenti

 

Inflazione: speculazione alimenti

Le inefficienze e le speculazioni lungo la filiera agroalimentare sono costate, a cittadini ed imprese agricole, 5,8 miliardi nel 2009 per effetto dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che è stato durante l’anno di oltre un punto percentuale superiore alla media generale dell’inflazione nonostante il forte calo di circa il 13 per cento nei prezzi delle materie prime agricole, che sta provocando la chiusura delle aziende agricole. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti divulgata in occasione della diffusione dei dati Istat sull’inflazione a Novembre.

I consumatori italiani – sottolinea la Coldiretti – non hanno potuto beneficiare della forte riduzione dei prezzi agricoli che rischia invece di provocare l’abbandono delle campagne con il crollo delle quotazioni alla produzione che nell’ultimo anno sono calate del 20 per cento per i cereali, del 22 per cento per la frutta, del 15 per cento per il vino, del 14 per cento per la carne suina e del 12 per cento per i lattiero caseari, ad ottobre secondo Ismea che rileva peraltro una sostanziale stabilità nelle quantità di alimenti e bevande acquistate durante l’anno (+0,4 per cento).


I prezzi dei principali prodotti della agricoltura italiana come il grano e il latte sono sui livelli minimi da oltre venti anni nonostante gli acquisti alimentari. Secondo una analisi della Coldiretti il prezzo del grano riconosciuto agli agricoltori è oggi molto piu’ basso di quello di 25 anni fa con le quotazioni che sono quest’anno al di sotto dei costi di produzione su un valore di poco superiore ai 14 centesimi al chilo, il 42 per cento in meno rispetto allo scorso anno e il 39 per cento in meno rispetto al 1985. Se allora – spiega la Coldiretti – il prezzo del grano era di 23 centesimi al chilo e quello del pane di 52 centesimi, oggi un chilo di grano è venduto al prezzo di circa 14 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini a valori variabili attorno ai 2,7 euro al chilo, ma che raggiunge i 5 euro e oltre per quelli più elaborati. Considerando che ci vuole circa un chilo di grano per fare un chilo di pane (bisogna ottenere la farina alla quale si aggiunge acqua) il ricarico dal campo alla tavola è passato dal 126 per cento del 1985 ad oltre il 1828 per cento. Il latte – continua la Coldiretti – viene oggi pagato agli allevatori italiani il 24 per cento in meno rispetto al 1996 con circa 30 centesimi riconosciuti in media alla stalla, ma viene pagato dai consumatori 1,35 euro al litro, con un ricarico del 350 per cento.

 La situazione dal campo alla tavola non cambia per l’uva che passa da 0,41 euro al chilo a 1,95 euro al chilo con un aumento del 376 per cento o per le carote che passano addirittura da 0,12 euro al chilo dal produttore a 1,2 euro al chilo per il consumatore (+900 per cento). Per non parlare della pasta con il prezzo del grano duro che è sceso a 0,18 euro al chilo mentre la pasta si vende ad 1,4 euro al chilo con un ricarico del 400 per cento se si tiene conto delle rese di trasformazione, per effetto di uno squilibrio concorrenziale che è ben noto all’Antritrust che ha multato il cartello dei produttori per un importo di 12,5 milioni di euro confermato dal Tar.

Pochi centesimi pagati agli agricoltori nei campi diventano euro al consumo con il risultato di un aumento della forbice nel passaggio dei prodotti dal campo alla tavola durante il quale – conclude la Coldiretti – i prezzi degli alimenti moltiplicano oggi in media cinque volte. Si tratta – sostiene la Coldiretti – di un forte ostacolo alla ripresa economica in un Paese dove quasi un euro su quattro si spende per la tavola con gli acquisti di alimentari e bevande che ammontano complessivamente a 215 miliardi di euro all’anno (dei quali 144 a casa e 71 per mangiare fuori), con l’agroalimentare che svolge peraltro una funzione da traino per l’intero Made in Italy all’estero.


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